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Psicologo Psicoterapeuta a Latina (LT)

L'odore del padre

C’è una aria strana stamattina, come di cielo gonfio di pioggia che però non vuol cadere. Le foglie zuppe di umidità si sollevano a fatica, e mal volentieri accettano di danzare con le cartacce nei mulinelli di vento. Le buche in strada sono bocche spalancate in attesa di diventare acquitrini, e la gente cammina guardando a terra. Fernando sta alla finestra, non riesce ad andare avanti. Gli viene da piangere, ma si vergogna di farsi vedere. Vorrebbe salutare e andarsene, magari fermarsi ad un bar a prendere un aperitivo, o camminare a piedi fino a casa. Potrebbe farlo, ma qualcosa lo trattiene. Gianni lo guarda paziente, giocherella con un pezzetto di carta, si schiarisce la voce, ma non dice nulla. Fernando torna a sedersi, ha gli occhi lucidi, ma ora sembra essersi calmato un po’, sembra meno turbato:

“L’odore di dopobarba, non so perché, ma lo trovo sempre mischiato nella mia mente a due altri odori, uno di capelli bagnati, e l’altro di mattina fredda e triste.”

Gianni sorride, Fernando riprende a parlare con un tono più forte:

“Lo so che la mattina non è un odore, ma non so come altro dire. Per me l’odore di mattina è quello che si sentiva a casa mia, che c’era sempre odore di muffa, di cappotti vecchi e di saponetta. Oddio, ma di che stavamo parlando?”

“Mi stavi raccontando di quando stamattina entrando in ascensore hai sentito odore di dopobarba e ti è venuta nostalgia e voglia di piangere!”

“Si, si è vero, quando sono entrato in ascensore e ho sentito questo odore mi sono sentito triste, mi sono sentito triste per me, per la mia condizione, sì insomma per la storia di Loretta che vuole un altro figlio. Già è stato così difficile fare il primo. Non lo so, ma l’idea di ricominciare coi dottori e le visite e le cure… io non lo voglio un altro figlio. Mi porta sempre dove vuole lei, decide sempre lei. In questo periodo mi sta proprio sulle palle. E poi non pensa neanche ad Andrea, insomma ormai ha quattro anni, magari gli crea problemi avere un fratellino ora.”

“Ma perché l’odore in ascensore ti ha fatto sentire triste per la tua condizione?” Gianni fissa Fernando negli occhi, quasi a volerlo trattenere seduto a guardarsi dentro, invece di riandare a guardare alla finestra.

Fernando resta un attimo in silenzio, è colpito dallo sguardo di Gianni, di solito non è così insistente. “Ho detto questo?”

“Si, hai detto che hai sentito nostalgia, voglia di piangere e ti sei sentito triste per la tua condizione. Cosa c’entra questo odore con la tua condizione?”

“Veramente non lo so! Diciamo che tutto mi fa pensare che non sopporto più Loretta”

“Ma questo era un odore familiare per te, mi pare di aver capito!”

“Beh, è un odore che sento spesso quello del dopobarba. Tra l’altro lo uso anch’io, pure se a Loretta non piace, Loretta non sopporta i profumi.”

“Si, ma questo odore hai detto che ti rimanda ad altri odori. L’hai detto tu che si mischia con l’odore di capelli bagnati e di mattina a casa tua. A quali mattine ti riferisci?”

“Alle mattine in casa mia quando ero piccolo. Si ma adesso che c’entra? Voi psicologi avete sempre la mania di guardare indietro!”

“Fernando ne hai parlato tu. Dimmelo tu che c’entra. Hai detto che l’odore che hai sentito in ascensore era un insieme di dopobarba e di mattina in casa tua quando eri piccolo, e che quest’odore ti ha suscitato nostalgia e anche tristezza per la tua condizione con Loretta. Che cosa succedeva a casa tua?”

“Dottore che mi vuoi far dire?” Fernando lo guarda con lo sguardo corrucciato

“Io vorrei che mi raccontassi che cosa succedeva la mattina in casa tua quando sentivi questi odori”.

Fernando fa una smorfia.

“Ma niente, niente di particolare. C’era mia mamma che preparava il caffelatte, mio padre faceva la doccia e si preparava per andare a lavorare. Mio padre si lavava molto, forse perché la mia casa era sporca e puzzava di muffa…”

“Era una reazione?”  Gianni chiede alzandosi dalla sedia, Fernando lo segue con lo sguardo.

“Boh, credo non volesse portarsi dietro la puzza di casa.” Fernando posa un momento lo sguardo a terra poi si alza con un moto di stizza:

“Senti Gianni, io ho un problema con Loretta, sinceramente a me di queste menate sul passato non me ne può fregare di meno. Scusa la brutalità.” Il suo corpo è teso, ed una smorfia gli contrae il volto, gli occhi sono di nuovo lucidi di pianto.

“Fernando io ho presente il tuo problema con Loretta, ma tu hai presente perché per te è un problema così grande?”

Fernando batte un pugno sul tavolino: “Perché non voglio un altro figlio, è così difficile da capire?” grida.

“No, voglio sapere perché è un problema così grande per te dirlo a Loretta!” Gianni ha il tono pacato ma fermo.

“Perché è una stronza e tanto alla fine si fa sempre quello che dice lei!” Fernando non riesce a fermare le lacrime.

Gianni gli porge un fazzoletto, resta in silenzio.

“Non ti va bene come risposta? E allora dimmelo tu perché, visto che io non ci ho capito un cazzo dottore, e tu sei tanto bravo!”

Gianni si risiede: “Tu ti arrabbi così tanto ora. Ma non ti arrabbi con Loretta.”

Fernando lo guarda con sguardo ironico, Gianni riprende a parlare: “Bada bene che io non voglio farti litigare con tua moglie, ma voglio capire perché qui ti riesce così bene di incazzarti su questa questione e invece a casa con lei non riesci neanche a dire una parola sull’argomento.”

“Non ce la faccio, non ne ho il coraggio!” Fernando fa un enorme sospiro e si distende all’indietro sulla poltroncina.

“Mi hai detto che provavi nostalgia anche. Cosa di quelle mattine ti faceva nostalgia?”

“Niente di quelle mattine. Provavo nostalgia per mio padre. Tu sai che l’ho perso quando avevo 13 anni?”

“Si, mi hai detto per un incidente sul lavoro.”

“Già, se quello si poteva chiamare lavoro. Un postaccio pieno di fili elettrici scoperti e macchinari vecchi. Ne morirono altri tre quell’anno come mio padre. Lui non ci voleva andare lì. Ma mia madre diceva che pagavano bene e alla fine lo ha convinto.”

Gianni pare sorpreso quasi colpito: “Ah, è stata tua madre a convincerlo?”

“Certo, naturale. Col vecchio lavoro le cose non andavano bene e mamma gli aveva trovato un posto nella ditta di suo cugino, e papà, naturalmente alla fine ha ceduto, anche se non voleva perché era pericoloso.”

Fernando spalanca per un istante gli occhi, poi riprende a parlare lentamente: “Lui non è mai riuscito a dire di no a mia madre”.

Gianni non parla, lascia che il silenzio prenda il giusto spazio per i pensieri del suo paziente.

Fernando si alza e torna alla finestra e guarda in strada: il vento si è calmato, e le immondizie e le foglie giacciono in terra inermi. Si sente il ticchettio dell’orologio.

Riprende a parlare piano: “Ricordo l’ultima volta che l’ho visto. Era mattina, molto presto. Io ero già sveglio, e lui era in bagno a fare una doccia. Sentivo il rumore dell’acqua e l’odore del suo dopobarba. Mi ero messo ad aspettarlo fuori alla porta, non so perché. Non mi ricordo se dovevo dirgli qualcosa, o volevo che mi allungasse qualche spicciolo per la merenda.”  Fernando si gratta nervosamente la testa e guarda nel vuoto come a voler recuperare il filo invisibile della memoria. “A un certo punto la porta del bagno si apre ed esce lui in accappatoio. E’ tutto bagnato e ha gli occhi rossi. Mi guarda e mi fa: -pisello allora? Sono le cinque e mezzo, rimettiti a letto che è presto. – poi mi carezza la testa e se ne va in camera- ….   La sera mia madre mi ha detto che era morto.”

Comincia a piovere. Un ragazzino corre e inciampa in una buca. Si alza e da un calcio alla ruota di una macchina parcheggiata, poi scappa via.  

Gianni si avvicina alla finestra e la apre, i due restano un lungo tempo in silenzio a guardare fuori.

Fernando: “E ora?”

Gianni: “E ora da qui si può cominciare!”


di Tiziana Battisti

Dott. Marco Petralia

Psicologo Psicoterapeuta a Latina (LT)
Iscrizione Albo n. N°3438 anno 1993
P.I. 01894430683

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